Parigi, primi di giugno 2010, una camera d’albergo a metà pomeriggio.
Non sono mai stata una di quelle donne convinte che le camere d’albergo siano tutte uguali, un puro e semplice spazio privo di stile e personalità. Una gelida e anonima galleria, adatta solo per riposarsi e arrivare al giorno dopo. Forse quelle donne vi hanno solo passato la notte, fra un treno e l’altro o un aereo e l’altro, sfinite per il viaggio. Invece, per apprezzarne la particolarità e l’unicità, una camera d’albergo va frequentata di giorno, quando il resto dell’hotel è vuoto, o quasi. Bisogna entrare in sintonia con quelle stanze, comunicare con esse attraverso i sensi, l’uno dopo l’altro, in modo da distinguere le tracce di chi, prima di noi, lì dentro può aver riso, pianto, amato, goduto. In albergo, l’ho imparato negli ultimi mesi, ricevi in base a quello che dai. Se non fai che sprofondare nel sonno, nella noia o nella malinconia, non riesci a cogliervi che il riflesso della tua tristezza o della tua indolenza. E ne esci, ahimè, identico a te stesso.
Se invece ascolti attentamente quello che una stanza d’albergo ha da dire, allora ne trai mille storie, mille aneddoti, mille sospiri e muori dalla voglia di aggiungerci i tuoi. A volte i più curiosi si sentono posseduti dai segni di chi è stato lì prima di loro. Un profumo rimasto sulle tende o sul letto. Una macchiolina superstite. La velatura di uno specchio che disegna un’ombra, quasi un profilo. Sono dettagli che ti entrano dentro, ti pervadono, ti stimolano a vivere la storia che aspetta anche te.
Ed è esattamente quanto mi accingo a fare in questo momento,nuda, i polsi legati al letto: scrivere le nuove pagine di un racconto iniziato molto prima di oggi, molto prima di me.
Come la maggior parte delle camere dell’Hôtel des Charmes, la Joséphine dispone di un immenso specchio sul soffitto. Così, aspettando che si cominci a fare sul serio, mi prendo tutto il piacere di contemplarmi. Io, Annabelle Lorand in Barlet, quasi ventiquattro anni, sposata quest’anno, pronta a darmi senza riserve all’uomo che si sta preparando nella stanza da bagno attigua. Chi sarà? Di lui non so ancora niente. L’unica certezza è che non è mio marito. Se fosse mio marito, saremmo qui? In tutta franchezza, saremmo arrivati a questo punto?
Mi faccio chiamare Elle. Da sempre e in ogni circostanza. Certo, Belle sarebbe pesante da portare, ma credetemi, Elle è peggio. Elle, «lei», come se io da sola fossi la summa di tutte le donne. Come se concentrassi in me tutte le loro grazie, incarnassi tutti i desideri, fondessi in me tutte le fantasie, i metalli grezzi di cui sono fatti gli uomini.
Quando finalmente la porta del bagno cigola, emetto dei gridolini di sorpresa. Brevi. Forse un po’ troppo acuti. Avevo finito per credere che la sua presenza fosse solo un sogno. Lo sconosciuto si ferma, esita ad avvicinarsi. Immagino la sua mano stretta sulla maniglia, il fiato sospeso.
«Signora? Signora Barlet, è tutto come desidera?»
Non è la sua voce. Viene dal corridoio. In modo discreto si preoccupano per me. Ci tengono che rimanga soddisfatta. La signora è una habituée. Da queste parti la signora è una privilegiata. Il mio uomo ha dato disposizioni precise. E lui è il tipo che qui viene ascoltato, ascoltato ed esaudito.
«Sì, signor Jacques… non si preoccupi, va tutto bene.»
Non mi coccolavano così la prima volta che ho alloggiato in questa camera, un anno fa. E non ero neanche così sicura di me. Questi grandi specchi mi restituivano tutta un’altra immagine. Avevo già le stesse forme come fardello, le stesse rotondità come promessa. Ma ne ignoravo il potere, e ancora di più l’utilizzo. Non godevo dell’altro, e ancora meno di essere me stessa.
Cosa ti fa godere, Elle? Cos’è che mi fa godere, eh? E che io sola conosco? Cos’è veramente in grado di farmi sciogliere fin dentro le viscere? Di farmi bagnare senza neppure toccarmi, al solo pensiero? Il corpo di un uomo nudo? Il suo odore? Vedere un sesso anonimo, in erezione per me? Contro di me?
Dentro di me…
(Appunto del 5/6/2010, scritto di mio pugno)
No, un anno fa non sapevo che ogni camera è un crogiolo d’amore in cui ogni donna resta in incubazione imparando finalmente a essere se stessa. Non ero schiava come lo sono adesso e, tuttavia, ero prigioniera, molto più di oggi. Non ingannatevi, oggi sono io la padrona, e non solo dell’uomo che trepida dietro la porta. Il mio abbandono è totale, eppure non sono mai stata in grado di controllare il corso degli eventi come ora.
Un anno fa non ero ancora Elle. Ero tutte le donne tranne lei, quella che dovevo ancora far nascere…
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