Noi siamo fatti della stessa sostanza dei sogni... W. Shakespeare

martedì 7 giugno 2011

Anteprima: "IL CARNEFICE"


"Il Carnefice"
di
Francesca Bertuzzi
Editore: Newton Compton
Pubblicazione: 14 giugno 2011
300 pag.
Prezz: 9,90 euro

UN ESORDIO POTENTE
UN’INEDITA E RIUSCITA COMBINAZIONE TRA L’IMMAGINARIO PULP DI TARANTINO, LE TINTE TORBIDE DI JAMES ELLROY E L’IRONIA TAGLIENTE DI AMMANNITI

UN THRILLER DAI RISVOLTI IMPREVEDIBILI
AMBIENTATO TRA LA CRIMINALITÀ NASCOSTA DELLA PROVINCIA ITALIANA



«Pensai a mia madre, e prima ancora di rendermene conto la stavo pregando. La pregavo di proteggerci dal male a cui stavo per dare inizio.»


Contenuto:

Danny è nata in Africa ma è arrivata in Italia ancora bambina. Ora vive a San Buono, un paesino della provincia abruzzese, uno di quei piccoli luoghi apparentemente sereni dove il male viene negato anche se esiste, si nutre e cresce fra le vie strette, le case decadenti e i bar semibui. Una sera, uscita dal locale in cui lavora, viene aggredita da un cliente. Drug Machine, suo datore di lavoro e più caro amico, la salva e la riporta a casa. Ma è qui che il peggio la aspetta. Sulla soglia, scritto su un fazzoletto, c’è un inquietante messaggio che le ricorda due fantasmi della sua infanzia: Fratel Pio, il missionario che l’ha portata in Italia e poi ha cercato di abusare di lei, e Khanysha, la sorellina morta di meningite e seppellita in fretta nel bosco, perché clandestina. Ma la prima frase sul fazzoletto è proprio di Khanysha… Danny e Drug Machine si lanciano così, in una torrida estate di provincia, sulle tracce della ragazza, disseppellendo, in un crescendo di colpi di scena, segreti antichi, bugie, atrocità di ogni tipo, fino ad arrivare all’inverosimile: gli affari sporchi di una banda di alti prelati, implicati in loschi traffici di bambine…


TRAILER:




Note sull'autrice:

Francesca Bertuzzi è nata a Roma nel 1981. A 22 anni si diploma a Torino presso la “Scuola Holden”, conseguendo il master biennale in “Teoria e Tecnica della Narrazione”. Successivamente frequenta il “Barbarano CineLab” laboratorio di regia diretto da Marco Bellocchio e Marco Müller. Negli ultimi anni si è dedicata alla scrittura cinematografica, vincendo premi e riconoscimenti internazionali con diversi cortometraggi. È ora in lavorazione il back stage del film Vallanzasca, da lei diretto e montato.


CRONACA DI UN ESORDIO SORPRENDENTE
GENNAIO 2010 Alla Newton Compton arriva il manoscritto di Francesca Bertuzzi, 28enne romana che lavora nel cinema, appassionata di letteratura americana ed ex allieva della Scuola Holden. Gli editor della casa editrice leggono il manoscritto e ne rimangono subito colpiti, per l’intreccio della storia, la forza della protagonista, l’abilità con cui l’autrice si destreggia nel genere che ha scelto: un’inedita e riuscita combinazione tra l’immaginario pulp di Tarantino, le tinte torbide di James Ellroy e l’ironia tagliente di Ammaniti.
MAGGIO 2010 Si decide di pubblicare il romanzo: Francesca Bertuzzi diventa a pieno titolo un’autrice Newton Compton.
GENNAIO 2011 Si comincia a lavorare sul romanzo e alla sua promozione: la Newton Compton crede fermamente in questo esordio e organizza un lancio imponente, con una capillare di- stribuzione del libro e l’uscita contemporanea dell’ebook.
GIUGNO 2011 Arriva finalmente in libreria Il carnefice, uno dei titoli di punta dell’anno per la Newton Compton.



Dalle Prime Pagine:

Ore 01:15, la sala era ormai riordinata, avevo sistemato le sedie sui tavoli e passato lo straccio sul pavimento lercio, per rinfrescare un po’ l’ambiente. Drug Machine si era già avviato verso casa da un buon quarto d’ora, lasciando la saracinesca del bar mezza abbassata. Mi ero cambiata, ma avevo assolutamente bisogno di una doccia e del divano. Prima di uscire, gettai uno sguardo al locale. Senza clienti e sotto l’unica luce dei lampioni, non era poi così squallido. Mentre formulavo questo pensiero mi arrivò una folata di puzzo di piscio, fumo e birra. Allora uscii e finii di chiudere la serranda.
La strada emanava ancora il caldo torrido del pomeriggio, estrassi le chiavi della macchina dalla borsa e mi avviai verso la Panda. Attraversando la piazza, un brivido mi salì lungo la schiena. Quando mi chinai per centrare il buco della serratura, mi sentii afferrare per la testa, che venne sbattuta con forza contro lo sportello. Caddi in ginocchio, ma la mano, che ora avvertivo enorme, mi rialzò afferrandomi per i capelli.
«Non urlare troia o ti spacco la testa». Mi girò mettendomi la mano sul seno, muovendola come se seguisse il moto rotondo di una sfera. Era un uomo che avevo servito qualche ora fa, un uomo enorme che non avevo mai visto prima di quel pomeriggio.
«Mi piacciono le negre», disse studiando il mio viso a un palmo di distanza. Mi sentivo ancora debole per la botta in testa, ma ero lucida, capivo che il bestione aveva bevuto e capivo che era troppo grosso per me.
Ma l’orgoglio è orgoglio.
«Non voglio ribellarmi, sai?» e cercai di abbozzare un sorriso che fece riverberare il dolore per la botta appena presa. «Faccio quello che vuoi, ma non mi picchiare... per favore».
L’uomo sorrise, aprendo il sipario delle labbra e mettendo in scena una serie di denti marci e caselle vuote, dove un tempo c’e-ano stati di sicuro altri denti marci. Ricordai di averlo notato anche quando mi aveva lasciato la mancia e l’aveva sfoderato con fare meno minaccioso di adesso.
«Allora da’ un bacio al paparino!». Mi afferrò la chiappa destra stringendomi a sé e facendomi sentire la mole della sua pancia contro lo sterno, si abbassò e mi offrì di nuovo l’infelice visione della sua bocca. Mi tappai il naso, aprii la bocca e, come ebbi fra i denti un bel pezzo di lingua, lo serrai con tutta la forza che riuscii a trovare. Il bestione provò ad arretrare, cercando di spingermi via con le mani. In quel momento, buttai la testa all’indietro staccando al figlio di puttana la punta della lingua. Indietreggiò di qualche passo, portandosi subito le mani alla bocca, dalla quale grondava sangue. Gli occhi si erano velati di rosso e le vene sul collo si erano gonfiate come idranti. Ancora barcollava. Con una rincorsa di pochi passi, gli saltai alla vita avvinghiandomici con le gambe, gli afferrai le orecchie con le mani e feci cozzare il suo naso contro la mia testa. Sentii un crack. Riuscendo a cadere in piedi, lo guardai: gli avevo rotto il naso. Era una maschera di sangue, ma era in piedi, e io avevo usato tutte le mie energie. Afferrai le chiavi della macchina, che erano scivolate vicino alla ruota posteriore e, aggrappandomi alla maniglia, provai a infilarle nella serra- tura, ma il bestione mi era già addosso. Mi afferrò la testa e la sbatté una, due, tre, quattro volte contro lo sportello. L’effetto fu quello di una mela marcia contro lo spigolo di un tavolo.
«Dove te ne vai, fottutissima troia? Ora non mi accontento più della tua fighetta del cazzo. Ora me la devi pagare». Era sopra di me. Non ci vedevo più, la mia testa era bollente, sentivo il sangue colarmi sulla faccia. Dovetti fare parecchia fatica per non perdere i sensi, ma ci riuscii, anche se vedevo il mondo come se stessi guardando un film fuori fuoco. Mi salì un conato di vomito, il bestione se ne accorse in tempo per scansarsi, mentre mi girava la testa con la mano che teneva avvinghiata ai miei capelli. Vomitai quella che era stata la mia cena.
«Fai proprio schifo. Sei una cagna selvatica, eh? Però mi piace il tuo culo, è da oggi che ci penso. Ora vediamo com’è dal vivo». Volevo obbiettare ma mi uscì un rantolo incomprensibile e lamentoso. Improvvisamente avevo i jeans calati fino alle ginocchia. E non m’ero accorta di quando li avesse slacciati e tirati giù. Avvertendo l’imminente violenza, provai a divincolarmi, ma senza forza riuscii solo in qualche debole spasmo che il bestione intuì essere un tentativo di ribellione. Allora volle mettere le cose in chiaro, farmi capire che il suo cazzo sarebbe stata la parte più piacevole della serata. Quindi, per puntualizzare, mi diede una ginocchiata sulla coscia che per un attimo mi fece riacquistare lucidità, per poi oscurarsi fra gli altri dolori.
«Alla fine vi rassegnate tutte. Perché vi piace, vero? Facevi la difficile, ma lo vuoi, eccome»
«Alzati, stronzo».
Un fucile da caccia faceva pressione sulla nuca del bestione. Drug Machine si era avvicinato senza fare rumore, e né io, né il bestione ci eravamo accorti di nulla. Il suono della sua voce mi fece sentire bambina, come quando da piccolo si metteva fra me, Khanysha e gli altri ragazzini che volevano picchiarci e li allontanava roteando i pugni nell’aria. Il bestione mi guardò con aria di sfida, poi sorrise e scattò all’indietro con una torsione del busto, gettando le mani sulla canna del fucile. Drug Machine oppose resistenza e si rotolarono cercando di avere l’uno la meglio sulla presa dell’altro. Alla fine il bestione gli era sopra e spingeva la canna del fucile contro la grossa gola di Drug Machine. Io provai a muovermi, ma riuscii solo a strisciare di pochi centimetri, la testa era pesante e ogni gesto estremamente rallentato e doloroso. Drug Machine, paonazzo per lo sforzo, iniziò a sferrargli delle ginocchiate sulle palle. Nel momento in cui il bastardo gli cadeva addosso, Drug Machine diede slancio alla testa, colpendolo sul naso fratturato di fresco. Stavolta il bestione cadde lamentandosi. Drug Machine gli era già sopra e cominciò a infierire sulla bocca marcia con il calcio del fucile. Lo colpì così forte e così a lungo che mi ero quasi abituata a quel suono. Quando ritenne di avergliene suona- te abbastanza, si rimise in piedi e venne verso di me. Mi aiutò a rialzarmi, riuscii in qualche modo a tirarmi su i jeans e, sorretta per la vita da Drug Machine, mi avviai verso il bar.

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